Allora, parliamo di Fratelli Musulmani. Ho evitato di scriverne sinora, perché volevo parlare dei ‘ragazzi di Tahrir’, quelli che stanno ancora facendo la rivoluzione – checché ne dica il nostro cinismo politico – e che ieri hanno nominato un autoproclamato antieroe come loro portavoce, Wael Ghonim. Ho scoperto, però, che anche se non scrivo di Fratelli Musulmani c’è qualcuno che passa il proprio tempo a insultarmi via web, invece di seguire il flusso della Storia e tentare di capirci qualcosa. Qual è il problema? Che non mi sono mai adeguata allo stereotipo corrente, quello della caccia alle streghe contro l’Ikhwan egiziana: preferisco tentare di capirci qualcosa, e dare una lettura un po’ più complessa. Insomma, mi tocca.
E allora comincio con uno dei cablogrammi resi pubblici da Wikileaks. Arriva proprio dall’ambasciata del Cairo, anno 2006. A redigerlo, l’allora ambasciatore Francis Ricciardone. Un cablogramma molto interessante, perché finalmente si vedono diplomatici che leggono la realtà. Magari da un punto di vista che non mi piace, quello dell’Amministrazione Bush. Ricciardone parla delle elezioni dell’autunno 2005, in tre turni, che videro 88 deputati legati ai Fratelli Musulmani entrare nell’Assemblea del Popolo, nonostante i brogli a opera del regime. Eppure, l’Ikhwan aveva deciso una strategia morbida per non spaventare l’Occidente, e aveva presentato un numero di candidati che, se anche avessero tutti vinto, non avrebbe coperto se non un terzo del parlamento. Nessuno, allora, si stracciò tanto le vesti, ma dietro le quinte l’amministrazione americana sapeva benissimo cosa stesse succedendo. Il governo egiziano – dice il cablo – ha una lunga storia di far aleggiare davanti a noi la minaccia dell’uomo nero-Fratellanza Musulmana.
The November-December parliamentary elections resulted in a five-fold increase in the number of seats held by independent candidates representing the outlawed but tolerated Muslim Brotherhood. The GOE has a long history of threatening us with the MB bogeyman. Your counterparts may try to suggest that the President,s insistence on greater democracy in Egypt is somehow responsible for the MB,s electoral success,and may even try to draw a cautionary example out of Hamas’ January 25 election victory. (The GOE sees Hamas, with fair reason, as spawned by the MB.) We do not accept the proposition that Egypt’s only choices are a slow-to-reform authoritarian regime or an Islamist extremist one; nor do we see greater democracy in Egypt as leading necessarily to a government under the MB. The images of intimidation and fraud that have emerged from the recent elections favor the Islamist extremists whom we both oppose. The best way to counter narrow-minded Islamist politics is to open the system. If the Egyptians are willing, the FBI could serve as a resource and partner, among other U.S. agencies and programs, in professionalizing the Egyptian security services and modernizing their investigative techniques. This would enhance the credibility of the security apparatus and remove an arrow from the Islamists, quiver.
Dunque, non è la prima volta che il regime di Mubarak usa lo spauracchio dei Fratelli Musulmani verso l’Occidente tutto. O me o un regime islamista, magari simile all’Iran khomeinista. O me oppure il caos. O gli affari con me, oppure scordatevi l’Egitto. Le ragioni sono talmente evidenti, che lo stesso Ricciardone le indica con puntualità.
Ma allora, i Fratelli Musulmani fanno così paura? L’interpretazione mainstream (raffinata) varia dal “sono terroristi, sono Al Qaeda, sostengono Ayman Al Zawahri” al “fanno il doppio gioco, non usano la violenza ma la userebbero, e se anche non la usassero, farebbero un califfato, uno stato islamico”. E giù la storia di Hassan al Banna, come se si parlasse di Gianfranco Fini parlandone solo e unicamente come l’erede di Benito Mussolini. Un po’ semplificato, per dir così.
Hassan al Banna, fondatore dell’Ikhwan, è certo ancora molto importante per i membri della Fratellanza Musulmana. Più importante di Sayyed al Qutb, anche se la sua ombra aleggia sinora, tanto da essere stata richiamato quando è stato eletta l’ultima guida suprema, Mohammed el Badie, accusato di spostare l’asse della Fratellanza – appunto – da Banna a Qutb. Troppo conservatore, Badie, troppo di destra. A dirlo, non sono stati gli avversari dell’Ikhwan, ma molte voci dentro i giovani fratelli musulmani, che l’attacco l’hanno portato in pubblico. Come Abdul Rahman Ayyash, uno dei blogger islamisti, tanto duro da rifiutare l’elezione di Badie, e da tracciare con nettezza quello che è successo, molto recentemente, dentro la leadership dell’Ikhwan. La spaccatura tra l’ala riformatrice e l’ala conservatrice.
I –as a Muslim Brotherhood Member- am refusing the elections, I’m refusing the way of holding the elections, the results of the elections and the new executive office members!
I’m refusing all these points because I want to be honest on Hassan Albanna’s heritage, I can’t accept Sayed Qutb’s ideology in Muslim Brotherhood, and it’s clear that the new office will adopt the Qutbic Ideology, most of the office members were arrested with Sayyed Qutb in 1965.
In my opinion, Mohammed Badi’, the first candidate to be the 8th supreme guide in the brotherhood, will clearly reflects the new ideology of the executive bureau in the coming phase.
Abulfotoh is the one who can solve his part of the equation of the crisis, he should take a strict attitude towards these violations, he should move and he will find many youth of MB following him in his way to reform the brotherhood from inside.
Abdul Rahman Ayyash fa due nomi. Essam el Aryan, in un passo precedente, ma soprattutto Abdel Moneim Abul Futouh (se siete interessati al suo ritratto, è in un post precedente nel blog, tratto da Arabi Invisibili, e anche in questo ritratto che ne fa Helena Cobban su Foreign Policy ). Lo descrive come il leader più ascoltato dai giovani della Fratellanza, e una conferma del suo rapporto con l’ala giovane è nelle dichiarazioni che Abul Futouh (a sua volta leader studentesco islamista negli anni 70) ha fatto durante la rivoluzione del 25 gennaio, sia ricordando il “sangue” dei giovani versato per la rivoluzione, sia confermando che, prima del negoziato, Mubarak deve dimettersi. Abul Futouh, insomma, sposa il ruolo dei giovani islamisti a piazza Tahrir, non tanto e non soprattutto come islamisti, ma in quanto ragazzi come gli altri, generazione Facebook anche loro, come i postmarxisti, i laici, i filooccidentali. Tutti insieme a piazza Tahrir, nella Repubblica di Tahrir che ha già creato il fossato che la separa dai partiti tradizionali. Fratellanza compresa.
Questa insistenza sulla differenziazione generazionale all’interno dell’Ikhwan è fondamentale per andare oltre la vulgata, e capire gli assetti reali dei Fratelli Musulmani egiziani. I ragazzi islamisti hanno scavalcato una disciplina classica, hanno forzato la mano, hanno aderito al 25 gennaio, mentre la leadership è rimasta a guardare, decidendo di partecipare solo quando ha compreso che stavolta era diverso. Era una rivoluzione.
Non c’è solo la questione generazionale, certo, e il solco tra conservatori e riformatori passa anche attraverso i ragazzi islamisti. La spaccatura sempre più evidente tra riformatori e conservatori al livello della leadership e del bureau della Fratellanza, con questi ultimi che riescono ad avere la guida suprema scavalcando proprio Abul Futouh, in predicato di assumere quel posto da anni, è il chiaro segno che la Fratellanza non è un monolite. Non è un blocco granitico. C’è chi, tra i Fratelli Musulmani, dialoga da anni con le altre anime dell’opposizione. La reazione del regime di Mubarak è stata, allora, quella di mettere in galera in particolare i pragmatici, i riformatori. Essam el Aryan, che fa dentro e fuori da anni. E anche Abul Futouh, che si è fatto un altro periodo in galera molto recentemente.
Si è detto, anche da parte di seri conoscitori dell’Egitto, che i Fratelli Musulmani siano stati il puntello del regime di Mubarak. Un movimento illegale ma tollerato, che in fondo non si è mai ribellato. Contribuendo a mantenere, in sostanza, lo status quo. Può darsi che sia vero, che ci sia stato uno scambio: nessun potere politico all’Ikhwan, in cambio di una tolleranza del suo lavoro sociale, socio religioso, di servizio. Negli ultimi anni, però, la stretta del regime è stata sempre più forte, e soprattutto ha spesso lasciato fuori dalle galere proprio i più conservatori tra i dirigenti. Proprio perché i riformatori avrebbero potuto solleticare l’Occidente, e far balenare alternative diverse da quelle proposte dallo stesso Mubarak.
Per inciso, queste sono le richieste dei Fratelli Musulmani, così come spiegate da Mohammed Mursi in un commento scritto per il Guardian
The Muslim Brotherhood along with the whole nation is unrelenting in its demand that President Hosni Mubarak stands down immediately. We want the officials responsible for the bloodshed that marred the peaceful protests to be brought to trial; the parliamentary and local councils formed by rigged elections to be disbanded; the immediate cessation of the emergency law; and the formation of an interim national government until free fair and transparent elections are held under full legal and judicial supervision. The Muslim Brotherhood will never compromise on its demands for the complete separation and independence of authorities, the freedom to form political parties and community groups, and the freedom of the press and media.
So già cosa diranno quelli che sbandierano il pericolo islamista. L’Ikhwan parla con lingua biforcuta, non farà quello che ha promesso di fare. E allora mi chiedo: perché invece dovremmo credere a un regime che ha già mortificato nel corso dei decenni la libertà di stampa, di espressione, di voto, la libera associazione in partiti politici, le libertà civili?
Comunque, questa è un’analisi possibile dei Fratelli Musulmani di oggi, da parte di una laica. Nessuna ricetta magica, nessuna incensazione, e per chi vuole, c’è un punto di vista interessante anche su arabist. Un’analisi che non può non concludersi con quello che molti dei ragazzi di Tahrir, fanno capire, su twitter e nelle loro interpretazioni della rivoluzione del 25 gennaio. E’ proprio aiutando i ragazzi di Tahrir che lo spauracchio islamista (quello semplificato) si sgonfia. Perché in piazza c’è altro, e tutto insieme. Ho paura, allora, che non sono gli islamisti a suscitare timori. È la paura della democrazia.
Nella foto dall’album di monasosh su Flickr, un medico cura un ferito in una delle battaglie di Tahrir. L’ordine dei medici, così come molti degli ordini professionali in Egitto, è considerata una roccaforte dei Fratelli Musulmani.
interessante questo
http://www.cfr.org/africa/egypts-muslim-brotherhood/p23991
sui fratelli musulmani
qui invece si cita Gramsci
http://blogs.cfr.org/cook/2011/02/07/reading-gramsci-in-tahrir/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=twitter
intanto grazie per le notizie, i riferimenti e le appassionate considerazioni
francesco
Cara Paola,
sono mesi che , dal Cairo, seguo tutte le vicende che si incrociano. Ti leggo con piacere sempre e condivisdo la tua lettura. D quando il Cario è stao invaso da girnalisti stranieri arrivati qui senza sapere neanche chi è ala al Aswani… l’attenzione / tensione è tuta sui fratelli…anzi fratellacci….
Azzurra
Condivido molte delle cose che riferisce e scrive Paola. Tuttavia, mettendo da parte il clima da caccia alle streghe che tanta stampa internazionale sta facendo riguardo alla partecipazione (assolutamente legittima) dei Fratelli alla costruzione del futuro Egitto, non possiamo fare a meno di tenere conto dell’atteggiamento della confraternita in queste ultime due settimane: non adesione alla prima fase della rivolta, poi partecipazione misurata, infine accettazione del dialogo con Suleiman e rifiuto di interromperlo. Peraltro contro le posizioni dei Fratelli piu’ giovani che vorrebbero rimanere in Piazza Tahrir con i loro coetanei di altro orientamento. Per ora la linea e’ questa: pagnottista e opportunista, mirata ad ottenere il riconoscimento del regime e degli Usa piu’ che della piazza. Vedremo se cambiera’. Abdel Fottouh e’ intelligente e guarda in avanti, ma conta pochissimo. Ciao
concordo. la questione generazionale è importante. e speriamo sia anche determinante, negli assetti della confraternita…
Souad Sbai intervistata da Rainews: “la differenza tra la rivoluzione tunisina e quella egiziana è che la prima è guidata da giovani puliti e istruiti, la seconda è completamente in mano ai fratelli musulmani, e non lo dico io, lo dicono tutti”…ah beh, allora, se lo dicono tutti…(ma tutti chi?).
Continua dicendo che l’Ikwan non ha mai voluto andare al potere perchè non vuole sporcarsi le mani…e dunque?
Per inciso e OT, parla di infibulazione genitale femminile collegandola esclusivamente all’islam, la colta donna
Ciao Paola,
è veramente deprimente l’ignoranza delle persone ed ancora di più la perdita di memoria che ci portiamo dietro.
Si discute da giorni sui fratelli musulmani come se fossero una nuvola comparsa oggi nel cielo.
Ma non ci sono sempre stati? Non erano rappresentati in parlamento anche ben piazzati fino alle ultime elezioni? Ma allora di cosa stiamo parlando! Sicuramente per alcuni sono più confortanti le parole del nuovo vice Presidente (che di nuovo non ha nulla) che apertamente dice che gli egiziani non sono pronti per la democrazia!
Ti segnalo un canale di youtube sulla piazza Tahrir, date un’occhiata alla gente di Tahrir vi renderete conto che tutte le convinzioni che ci vogliono propinare è pura propaganda!
http://www.youtube.com/user/TahrirSqaureEgypt
Un grande riconoscimento secondo me in questa rivoluzione va alle donne egiziane! Brave siamo tutte con voi!
Ramona
Grazie delle informazioni, Paola!
Finalmente il mondo vede la realtà dell’Egitto.
E poi.. solidarietà a te contro gli insulti via web! Speriamo di fare un po’ di piazza pulita di ignoranza e malafede anche qui da noi: sembra proprio che stiamo seguendo l’onda egiziana! 🙂
Cri
Eccellente Paola come sempre.
Suggerisco anche questo il cui argomento si collega a questo post.
http://partigianeria.blogspot.com/2011/02/ripropongo-un-post-sulle-differenti.html
Pensa che nell’Egitto dell’era post-Mubarak possa avere un ruolo “politico” la comunità religiosa copto-ortodossa per favorire un assetto tendenzialmente pluralista, nel quale siano valorizzate le componenti laico-democratiche, che altrimenti potrebbero diventare ininfluenti, data la sproporzione nel radicamento di massa rispetto ai “Fratelli Musulmani”?
Cordiali saluti
Luigi De Salvia