Se avessi scritto questo commentino appena l’anno scorso, mi sarei concentrata sugli Stati Uniti, sulla loro politica mediorientale, sull’impossibilità (ormai patente) di poter essere un mediatore super partes. Sul veto, insomma. Sullo stop deciso stanotte da Washington nel consiglio di sicurezza dell’Onu alla risoluzione che condanna l’illegalità delle colonie israeliane in Cisgiordania (poi, un giorno, qualcuno mi spiegherà lo scandalo di una risoluzione del genere, che ribadisce solo la legalità internazionale…). E invece vorrei occuparmi degli altri 14 membri del Consiglio di Sicurezza, gli altri 4 permanenti oltre gli USA, e i dieci a rotazione.
Perché? Perché io gli amici li ascolto. E un mio amico, qualche mese fa, mi raccontò di come sia diverso guardare il Medio Oriente non più dall’occhio del ciclone, ma da una ragionevole distanza. Ci si accorge, mi disse, di come stia montando un sentimento diffuso, contro le posizioni israeliane. Praticamente tutto il mondo vorrebbe cambiare politica, questo il senso del discorso. E allora, quando ho visto il risultato del voto di ieri sera, la compattezza attorno alla risoluzione palestinese proposta dal Libano, la presa di posizione dei più importanti paesi europei severamente contro le colonie e per uno Stato di Palestina entro settembre 2011 (Gran Bretagna, Francia e Germania, per una volta tanto tutti e tre nel Consiglio di Sicurezza, e tutti e tre sulla stessa linea), quando ho visto tutto questo ho pensato che il discorso del mio amico era fondato. 14 a 1, insomma. 14 contro 1. Un risultato che dovrebbe far riflettere gli Stati Uniti, isolati sulla questione israelo-palestinese. Isolati all’interno di rapporti di forze che hanno già dimostrato, soprattutto in questi ultimi mesi, che il mondo è ormai multipolare.
Basta guardare l’elenco degli Stati (tutti) che hanno votato a favore. La Cina, per esempio. La Russia. I tre più importanti Stati dell’Unione Europea, decisi a far politica per conto proprio, a quanto sembra, visto che l’Europa non riesce più a prendere una decisione di peso sul Medio Oriente. E poi, tra i membri non permanenti, ci sono due nomi importantissimi, il Brasile (che ha riconosciuto lo Stato di Palestina) e l’India. Per non parlare del Sudafrica, che da anni cerca di accreditarsi come la potenza regionale africana, assieme a un altro gigante – con parecchi problemi interni, però – come la Nigeria. USA vs tutti, insomma. E questo credo debba far riflettere l’amministrazione Obama, se non vuole che abbia ragione chi dice – con espressione colorita, lo so – che la strategia mediorientale statunitense la si può gettare da tempo nel cestino.
I palestinesi (l’ANP) non potevano ritirarla la risoluzione, sulla quale peraltro lavorano da mesi e mesi, ben prima che scoppiasse il 2011 arabo e le rivoluzioni che stanno cambiando la faccia della regione. Dopo l’uscita (ad hoc) dei Palestine Papers da parte di Al Jazeera, lo scandalo del rapporto Goldstone rinviato per la pressione americana su Abu Mazen, il presidente dell’ANP non poteva accettare il ritiro della risoluzione come chiesto da Barack Obama in quasi un’ora di telefonata. Per Mahmoud Abbas quel ritiro era semplicemente un suicidio politico. E i suicidi politici non si fanno neanche per gli Stati Uniti, soprattutto dopo il fallimento di quell’ennesimo negoziato sponsorizzato dall’amministrazione democratica che ha avuto vita brevissima. La più breve, forse, nella lunga storia dei negoziati tra israeliani e palestinesi.
La foto sembra lontana dal Palazzo di Vetro. Eppure è nel cuore del conflitto e dell’impossibilità pratica di realizzare la soluzione dei due Stati, israeliano e palestinese. Sheykh Jarrah, Gerusalemme est. David Grossman e Ian McEwan protestano contro i coloni che stanno cambiando la faccia di uno quartieri più importanti della parte est, quella occupata, di Gerusalemme. Ian McEwan non è solo una delle star dell’edizione di quest’anno del Festival della Letteratura di Gerusalemme (ovest), che si apre domani. E’ anche il vincitore. Chissà quale sarà la reazione degli organizzatori.
E dire che c’era stata questa lettera di diplomatici ed ex-uomini politici americani che consigliava di agire diversamente
http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/former-u-s-diplomats-to-obama-support-un-draft-condemning-israeli-settlements-1.338565
E tra i firmatari c’è gente tutt’altro di sinistra: Frank Carlucci è stato un ministro di Reagan, Murphy ne fu l’inviato in Medio Oriente.Forse alla Casa Bianca avranno pensato che, dopo l’Egitto, dovevano fare qualcosa per rassicurare Israele, però così rischiano di perdere il treno del nuovo Medio Oriente.
(complimenti, questo blog e il libro su Hamas sono davvero belli)
credo anch’io che si tratti di qualcosa di simile al “rassicurare” israele, salvo per il fatto che se israele si comportasse diversamente potrebbe costruire la propria sicurezza da sè, senza dover ogni volta ricattare gli USA. israele è ormai definitivamente indifendibile (per fortuna che in consiglio di sicurezza non c’era l’italia), scontata, banale, ancorata al passato, vecchia. ma non so se i giovani israeliani militarizzati come sono siano in grado di guardare obiettivamente dentro al loro paese e capire che così non può durare… Paola sui giovani israeliani potrebbe dirci qualcosa..
Cara Paola, le tue riflessioni sono ragionevoli, pacate, sostanzialmente esatte. Eppure ci sfugge qualcosa che rende inintellegibile l’ennesima difesa statunitense, delle ragioni di Israele tout court.
Io con gli anni mi sono dato una spiegazione. Tu sai che ero un ottimista moderato. Ho pensato per tanto tempo che alla fine la soluzione di compromesso sarebbe uscita fuori da qualche cilindro. Si parlano, trattano, dunque… Alla fine, mi dicevo, uno si stanca del sangue, dello scannamento continuo, delle bombe dei terroristi e delle rappresaglie oltre ogni limite. Ecco oggi sono diventato pessimista. Sarà l’età. Comincio a credere (dopo la morte/assassinio di Arafat) che ormai le fazioni degli irragionevoli abbiano conquistato definitivamente il potere nei due campi opposti. E così il futuro non può che essere fosco, promettere lutti e rovine. E allora forse – mi dico – l’amministrazione Usa cerca solo di ritardare il disastro nell’unico modo che conosce: mantenere lo status quo. Che dici, ha un senso questo?