Gli ultras, la piazza e la rivoluzione

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Ore 13 e 30, ora del Medio Oriente – La questione dei gas lacrimogeni usati in questi ultimi giorni continua a montaqre. Soprattutto dopo che Mohammed elBaradei ha detto che potrebbero contenere gas nervino. I ragazzi di Tahrir, però, se lo chiedono da giorni, e i medici tentano di capire come affrontare l’emergenza. Si cercano soprattutto video e foto per capire cosa i lacrimogeni provochino. Ora c’è la richiesta di video che mostrino spasmi causati dal gas, e uno è già stato rilanciato, dalla bravissima Sarah Carr su twitter. La battaglia tra polizia e una parte dei dimostranti (forse gli ultras?) è proseguita anche stamattina, e sempre nella stessa strada, via Mohammed Mahmoud, lungo i vecchi edifici dell’American University del Cairo. Una parte dei manifestanti pacifici ha cercato di fermare le scaramucce, soprattutto quando alcuni dei dimostranti sono entrati nella biblioteca dell’AUC, gettando dalle finestre (e da quelle di una scuola femminile lì vicino) tutto ciò che trovavano contro la polizia.

GLI ULTRAS

C’è una storia nascosta (ma solo in Italia…) sulla rivoluzione egiziana, ed è quella degli ultras. Sì, proprio delle tifoserie delle squadre di calcio egiziane. Facciamo prima un passo indietro. Chi è stato al Cairo – non da turista – sa bene che c’è un appuntamento, sempre lo stesso, che si ripete da anni. Il derby locale, che in una megalopoli da 20 milioni di abitanti è ben diverso dalle nostre stracittadine. Zamalek contro Ahly, e il confronto è serio, perché le due squadre del Cairo sono le migliori in Egitto. Solo tallonate dagli ismaili, il team di Ismailiya. Zamalek, Ahly e Ismailiya hanno le loro tifoserie, e fin qui tutto sembra normale. Cioè terribilmente globalizzato.

L’anno scorso avevano fatto parlare di sé dopo una partita della nazionale egiziana, durante il periodo di fuoco della qualificazione ai campionati mondiali (usata, malamente, dai figli di Hosni Mubarak per guadagnare consensi). I tifosi diedero vita, per la prima volta, a una particolare guerriglia urbana  al centro del Cairo. Compreso il quartiere bene di Zamalek. A noi piccola comunità che  guarda l’Egitto da anni, quelle immagini fecero venire i brividi, perché c’era qualcosa di diverso. Non solo per la violenza, ma per la violenza contro la polizia, da sempre braccio armato e urbano del regime. Qualcosa bolliva in pentola, e a dircelo erano gli ultras…

Sono passati non  molti mesi, e poi c’è stata la rivoluzione del 25 gennaio. Quando le gang al soldo della polizia hanno attaccato piazza Tahrir, tra fine gennaio e inizio febbraio, a difenderla non c’erano solamente i ragazzi attivisti, poco usi a lanciare pietre. C’era chi si era già scontrato con la polizia. Non solo i fratelli musulmani, con quello che appariva una sorta di servizio d’ordine. C’erano gli ultras. E hanno salvato la piazza.

E’ per questo che i ragazzi di Tahrir, a leggere i loro sms su twitter, sono stati molto contenti quando, in questi quattro giorni, di nuovo a difendere la piazza e i manifestanti sono arrivati loro. Gli ultras. Ahlawy, zamalky e ismaili. Organizzatissimi. In centinaia alla volta hanno lanciato attacchi contro la polizia. Famosi, ormai, i loro  canti e le percussioni, che riecheggiavano – mi dicono i testimoni diretti – anche dentro la piazza. Sono stati loro, in questi giorni, a fermare la polizia su via Mohammed Mahmoud, il cuore della battaglia, e a impedire l’ingresso a piazza Tahrir.

Gli ultras, come dappertutto, pongono però anche la questione della violenza. Perché fino a che bisogna difendere la piazza gli ultras sono benvenuti. Il problema è quando la violenza continua, e diventa guerriglia urbana. Ed è la questione che si porrà oggi, a giudicare da quello che è successo stamattina, negli scontri alla biblioteca dell’American University. Cominciano le spaccature tra manifestanti pacifici e ultras? Sembra proprio di sì.

La questione è che gli ultras fanno parte a pieno titolo di quella città dimenticata, di questo Cairo palcoscenico della rivoluzione, che tra le pieghe nasconde molto. Comprese le classi subalterne che, in una megalopoli, sviluppano modelli di vita propri, paralleli, per riuscire a campare. La famosa società informale. Forse un po’ di attenzione a questa parte enorme di una città enorme come il Cairo bisognerà pur metterla, nelle analisi di questa rivoluzione.

Qualcosa c’è anche sul mio articolo per La Stampa, anche sul sito del quotidiano torinese.

La foto ritrae gli ultras ahlawy su via Mohammed Mahmoud, la strada al centro della battaglia, anche stamattina. E’ quella che costeggia l’American University e che collega Tahrir a downtown, e soprattutto al cuore di downtown, Bab el Louq.

Scelta obbligata per il brano della playlist. Il vecchio boss Bruce Springsteen l’ha già detto tanti anni fa. Dancing in the Dark.

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