E così, il ciclo di Piazze Inquiete voluto e organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per il 2023 si è concluso ieri con una conversazione bella, profonda, necessaria con Sinan Antoon e John Chalcraft. Chi si occupa, in diverso modo e con diverse sensibilità, della regione araba, sa chi sono, e non ci sarebbe bisogno di ricordarlo. Per chi non li conosce, riporto qui le loro biografie, disponibili anche sulla pagina dedicata della Fondazione (https://fondazionefeltrinelli.it/piazzeinquiete/)
John Chalcraft, Professore di Storia del Medio Oriente e Politica presso la London School of Economics di Londra. In precedenza ad Harvard, Oxford e la New York University, si è specializzato sul rapporto tra storia e politica “dal basso” nel Medio oriente moderno e nel Nord Africa. Con un approccio di sociologia politica qualitativa, esplora le relazioni tra potere, protesta, resistenza, consenso ed egemonia, analizzando le reti di costituzione transnazionali di attivismi sui temi dei diritti umani nell’area di interesse.
Sinan Antoon è Associate Professor of Arabic Literature alla New York University. Poeta, romanziere, studioso e traduttore letterario iracheno. Trasferitosi negli Stati Uniti in concomitanza con la Guerra del Golfo, ha ottenuto un dottorato a Harvard in Arabic Literature. Descritto da Alberto Manguel come “one of the great fiction writers of our time”, ha pubblicato in italiano Rapsodia Irachena (Feltrinelli, 2010) e L’archivio dei danni collaterali (hopefulmonster editore, 2023, tr. Ada Barbaro). Collabora con il Guardian, il Washington Post e il New York Times.
Le biografie delle persone non sono dettagli. Dicono molto, del loro sguardo, della loro reputazione, della loro vita. Se ripercorrerete il loro racconto, registrato e disponibile sul canale youtube della Fondazione Feltrinelli, questa attenzione alle loro biografie sarà immediatamente compresibile. Parla, infatti, del loro rapporti con i luoghi di cui parlano e che hanno analizzato da studiosi e/o raccontato attraverso gli strumenti dell’arte. Parla dei volti che hanno incontrato, dei singoli e delle masse, delle persone nelle piazze e nei quartieri. Della storia che non si racchiude in un anno, dieci, cento, ma va indietro e spiega molto se non tutto. Una conoscenza così profonda è un dono, raro, quando viene messa a disposizione di chi ascolta.
E’ stato questo, secondo me, il tratto distintivo del ciclo dedicato alle Piazze Inquiete, e cioè non a episodi di rivolta e insurrezione, ma a rivoluzioni che hanno segnato la regione araba (e ben oltre) durante gli scorsi quindici anni circa. Non è un caso che abbiamo iniziato lo scorso febbraio con Teheran, per poi volare al Cairo, ritornare in terra europea a Berlino e infine, ieri, mettere a sistema tutto ciò che avevamo intravisto nelle singole città e nelle singole piazze.
Sono contenta, anche del fatto che di queste conversazioni resti traccia d’archivio nelle registrazioni che, quindi, possano essere patrimonio che gira e aiuta a comprendere oltre la narrazione, spesso maldestra, fatta al di qua. Un tentativo di entrare nella dimensione mainstream è rompere il primo stereotipo che Edward Said (a proposito, pubblicato da Feltrinelli Editore) spiegava così bene: “Si ha così una sorta di immagine dell’Oriente senza tempo, come se l’Oriente, a differenza dell’Occidente, non si sviluppasse, rimanesse sempre uguale. E questo è uno dei problemi dell’orientalismo: crea un’immagine al di fuori della storia, di qualcosa di placido, immobile ed eterno, che è semplicemente contraddetta dalla storia”.
Sono contenta, e ringrazio di cuore, molto, tutti gli ospiti che hanno accettato di venire, parlare, ascoltare e mettersi in gioco: Lina Attalah, Francesca Biancani, Alia Mossallam, Gennaro Gervasio, Sinan Antoon e John Chalcraft.
Questo ciclo è anche frutto delle sinergie, della fatica, delle amicizie.