Medioriente politico
Da quale parte guardare
Come già sapete, sono ad Amman. Non perché sia saltata su un aereo, ma perché questo viaggio era programmato da mesi per allontanarsi, staccare lo sguardo, trovare la calma per scrivere il mio prossimo libro. Ironia del destino. Sono nelle retrovie della Storia, a guardare la Storia da questa parte, e benedico di essere lontana dalle tifoserie degli ignoranti insufflate dalla propaganda. Il dolore degli invisibili è una cosa troppo seria. I crimini di guerra sono una cosa troppo seria. Il dovere di dire che sono stati commessi da Hamas e dalle forze israeliane dietro ordine del loro governo non ce lo toglie nessuno. Il dovere di fermare i massacri con gli strumenti della diplomazia e del racconto è ineludibile. Le foto da Gaza sembrano quelle di Aleppo dopo i bombardamenti russi. L’indifferenza del mondo mi sembra sia la stessa.
Difficile aggiornare questo blog, perché le richieste di approfondimenti e interviste sono molte, e non mi danno il tempo necessario per mettermi a scrivere. Sui ‘miei social’, però, troverete i link a interviste, conversazioni, eccetera.
Stamattina, per esempio, mi hanno chiamato da Radio Anch’io, su Radio1 Rai, condotta come sempre in maniera impeccabile da Giorgio Zanchini.
Piazze Inquiete – ultima puntata
Piazze Inquiete – seconda puntata. Berlino, la città diaspora
Piazze Inquiete. Prima puntata: Cairo, la piazza sognata
Domani ci comincia. Anzi, a dire il vero abbiamo già cominciato nello scorso febbraio, alla Fondazione Feltrinelli, che ringrazio per avermi coinvolto in un progetto a me carissimo.
Di piazze si è parlato e si parla, spesso – però – mitizzando la piazza o confinandola in una dimensione solo movimentista. C’è altro, c’è molto altro, da non sottovalutare. Non solo in Italia e in Europa. Soprattutto, nello scorso decennio, in una regione che è difficile di per sé definire fuori dagli schemi ancora (seppur involontariamente) coloniali e sempre di più piegati a una ‘strana forma’ di suprematismo occidentale. In Medio Oriente, Nord Africa, area mediterranea, Asia occidentale, le piazze non sono solo quelle che abbiamo (intra)visto nel 2011. Sono, semmai, quelle a cavallo del 2011 e che hanno segnato un’area molto vasta (non solo araba) per tutto il decennio successivo. La pandemia ha, per esempio, interrotto un processo in corso nel 2019 che stava interessanto almeno quattro paesi (Algeria, Sudan, Libano, Iraq).
Cosa significa, dunque, ‘piazza’, o meglio, spazio pubblico riconquistato e risignificato in termini politici? Cosa significa uno spazio in gran parte urbano (dalle megalopoli alle cittadine) che si ritrova luogo di conflitto politico e sociale, e luogo di espressione artistica e politica? Cosa significano libertà, vita, democrazia, futuro, dignità?
Abbiamo cominciato, lo scorso febbraio, a chiedere alle iraniane e agli iraniani in Italia di raccontarci il movimento “Donna. Vita. Libertà”, un movimento – non solo carsico, negli ultimi mesi – nato dall’ennesima violazione alle donne, alle vite, alle libertà compiuto dal regime al potere a Teheran. La linea che abbiamo deciso di seguire è quella di conversazioni in cui non siamo noi – italiani, esperti, giornalisti – a raccontare ciò che succede, ma siamo “noi” a metterci in ascolto e a chiedere a “loro” la loro narrazione. Non tutta uguale, diversificata, viva, vivace.
Continuiamo, ora, a chiedere a “loro”, ad ascoltare. Il 19 settembre, il 26 settembre, il 2 ottobre, sempre alle 19, avranno luogo alla Fondazione Feltrinelli, a via Pasubio 5 a Milano, conversazioni sulla piazza. Sulle Piazze Inquiete. E si comincia con la piazza divenuta simbolo e icona. Il Cairo, da piazza Tahrir all’intera megalopoli, dalla piazza sognata alla città sede di conflitto e della vita complessa, sino alla città abbandonata da settori del potere.
Il 19 settembre ascolteremo Lina Attalah, intellettuale tra le più profonde e amate nel mondo arabo, cui il Premio Inge Feltrinelli ha conferito una menzione speciale per il lavoro che da anni fa assieme alle colleghe e ai colleghi di Mada Masr, un progetto giornalistico d’inchiesta tra i più innovativi e professionali dell’intera regione araba. Lina Attalah sarà in conversazione con Francesca Biancani, professoressa all’università di Bologna, dove insegna Storia e Relazioni internazionali del Medio Oriente. Precedentemente alla LSE e SOAS di Londra, è stata allieva del professor John Chalcraft (che ritroveremo in Fondazione il 2 ottobre, assieme a Sinan Antoon).
Dopo la conversazione tra Lina Attalah e Francesca Biancani, a seguire, un appuntamento altrettanto importante: “Non siete stati ancora sconfitti”, lettura scenica di Massimiliano Speziani dal libro omonimo di Alaa Abd el-Fattah.
Lettera22, il mook. Numero 0
Il numero zero di Lettera22, rivista di giornalismo narrativo e disegnato, è andato in stampa. Le prime copie stanno arrivando nelle mani dei tanti sostenitori che hanno contribuito al crowdfunding su Produzioni dal Basso.
Molte lettrici e molti lettori che non hanno partecipato al crowdfunding ci stanno chiedendo come ottenere una copia della rivista: c’è ancora modo di farlo e di sostenere il nostro progetto editoriale indipendente:
– con una donazione minima di 20 euro, in omaggio il numero zero di Lettera22 (le spedizioni sono a carico nostro, a eccezione di quelle per l’estero, per le quali è previsto un contributo ulteriore di 10 euro)
Per richiedere la rivista, tutti i dettagli sono al seguente link.
Ahmed Douma libero. Finalmente
Ahmed Douma è libero. Fuori dalla galera in cui, come prigioniero di coscienza, ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita. Prigioniero di coscienza per le organizzazioni che in tutto il mondo si occupano di diritti umani e di libertà di espressione, come Amnesty, Pen International e le altre 34 sigle che, non più tardi del dicembre 2022, avevano firmato una precisa richiesta alle autorità egiziane. Richiesta di liberare Ahmed Douma perché “arbitrariamente detenuto” per il suo attivismo e per il suo ruolo di guida nella rivoluzione egiziana.
Un poeta, uno scrittore, un attivista in carcere. Ce ne sono decine di migliaia, in Egitto, secondo Continua a leggere
Per Michela Murgia
È il giorno dopo. Il giorno dopo il funerale di Michela Murgia celebrato a Roma nella chiesa di Santa Maria in Montesanto, dove il quadro dedicato alla Vergine del Carmelo è opera di Plautilla Bricci, una pittrice del Seicento, una delle rare arrivate a ornare un luogo sacro ai cattolici. E’ la cosiddetta Chiesa degli Artisti, per i romani.
Per la casualità della vita, la chiesa di piazza del Popolo mette insieme due delle tante parti di Michela Murgia: l’arte e la fede. Nessuna delle due assunte come dogmi, semmai campi in cui vivere praticando (e ricercando) la libertà. La chiesa degli artisti, e una delle chiese dedicate alla Madonna. Sarà perché il suo libro che ho più amato è – ed è ancora – Ave Mary, ma questo legame tra arte e fede è stato consolatorio oggi, il giorno dopo.
La consolazione è volutamente ricercata perché in tante/tanti/tantu [semicit. di Chiara Valerio] sentiamo la mancanza di Michela Murgia: la rivoluzionaria, l’eretica, l’antifascista, la femminista, l’intellettuale pubblica, la libera, la coerente, la costante, la persona colma di dignità. Soprattutto, colei che Continua a leggere
Pace e guerra. Istruzioni per l’uso
Un assaggio del libro di Paola Caridi appena pubblicato da Feltrinelli Kids. Un libro dedicato alla pace e alla guerra, ma non solo. Come recita il sottotitolo, è un libro che parla di democrazia e di diritti
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La guerra è lontana, per chi non la vive. È fatta di suoni, terra che trema, muri che cadono perché colpiti da un missile. È fatta di case senza elettricità, rubinetti da cui l’acqua non esce, freddo gelido d’inverno in luoghi che non sono più il posto accogliente dove torniamo ogni giorno, dopo la scuola o il lavoro.
Il primo ostacolo, per chi guarda la guerra da lontano, è l’incapacità di capirla. D’immedesimarsi. Sembra un videogioco, ma gli attori, in questo caso, non sono sagome. Sono ciascuno di noi trasportato in un altro spazio.
La guerra ha bisogno di essere definita, per essere comprensibile. E le parole sono determinanti, come la cassetta degli attrezzi di un falegname.
Proviamo dunque a pensare alle parole che abbiamo ascoltato in questi mesi e negli scorsi anni. Invasione, bombardamenti aerei, ingresso delle truppe di terra, conquista militare di una città, rovesciamento del potere legittimo, colpo di Stato, crimini di guerra, crimini contro l’umanità, obiettivi civili, obiettivi militari, bombardamenti “chirurgici”, rifugi, file per il pane, profughi, rifugiati, sfollati, attentati terroristici, resistenza armata, rifiuto di un cessate-il-fuoco, negoziati per una tregua, far uscire i civili sui convogli, fuoco sui convogli, fosse comuni. E poi, riarmo nucleare, missili a testata nucleare, missili “convenzionali”. Ognuna di queste parole ha bisogno di essere spiegata per essere compresa, ha bisogno di far parte di un mosaico che compone la crudeltà della guerra. Solo comprendendo queste parole è possibile lavorare per far cessare le armi, e costruire la strada per una pace duratura. Dunque giusta e rispettosa delle parti in causa.
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Gli amici non fanno la pace, perché gli amici non si fanno la guerra. Possono avere incomprensioni, anche ferirsi, ma se l’amicizia è fondata su basi solide, gli screzi si risolvono. Magari anche con una gran litigata.
Diversa è la situazione di chi si fa la guerra e che, alla fine del conflitto, decide con raziocinio e allo stesso tempocon sofferenza che è necessario costruire un percorso che porti alla pace.
Chi si fa la guerra pensa che l’altro sia “il cattivo”. Considera sé stesso “il buono”. Giustifica la necessità della guerra grazie a questa opposizione tra me “buono” e te, antagonista, “cattivo”. È proprio per questa logica assurda che tutto è permesso, contro il cattivo. È lecito il suo contenimento e addirittura la sua distruzione.
Se il mio nemico è il cattivo, il processo di deumanizzazione è già iniziato: posso ucciderlo, posso bombardare la sua casa, città, scuola, ospedale perché è il simbolo di tutto ciò che considero il male assoluto.
Com’è possibile, però, che chi è stato violento contro l’altro, contro il nemico, sia poi disposto a sedersi di fronte a lui, o a lei, per raggiungere una pace giusta?
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Il libro raccoglie queste riflessioni per inoltrarsi in un territorio spesso poco conosciuto dalle ragazze e dai ragazzi. Un territorio pieno di parole difficili, per le quali è necessario un vocabolario. Le parole difficili non sono solo quelle della guerra (bombardamenti, cessate-il-fuoco, armistizio eccetera). Sono anche le parole della pace e della convivenza: democrazia, diritti, libertà, giustizia riparativa, convenzioni internazionali.
Perché, alla base dello stare al mondo, c’è una regola fondamentale: mai dimenticare l’umanità che è in noi e nel nostro “nemico”.
Da Paola Caridi, Pace e Guerra. Proteggere i diritti e costruire la democrazia, Feltrinelli Kids, in libreria dal 20 giugno 2023. Da settembre le presentazioni e i percorsi dentro le scuole. Per maggiori informazioni, mandare una email alla posta del blog invisiblearabs.com: info at invisiblearabs.com
“Democrazia o ribellione”. Israele contro Netanyahu
Da oltre sette mesi succedono cose, in Israele, che non sono mai successe prima. Da 29 sabati succedono cose, a Tel Aviv e in decine di altre città israeliane, persino in colonie dentro il Territorio Palestinese Occupato, che non sono mai successe prima. Di queste cose che non sono mai successe prima, però, la stampa italiana (intendo anche tg e gr) se n’è occupata in maniera episodica, senza costanza, senza mai dare una continuità che avrebbe fatto comprendere al pubblico, alle lettrici e ai lettori, quello che realmente sta succedendo.
Tutto è cominciato dopo la vittoria di Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni. Dopo un breve allontanamento dal potere, dunque, Netanyahu è riuscito a mettere insieme una coalizione di destra-destra che Continua a leggere